Una ragazza esile, capace di affrontare a testa alta la paura di morire, il trauma della violenza sessuale, l’umiliazione di essere rapinata anche dei 15 euro che aveva nel portafoglio. Un uomo corpulento, capace di pedinare e stuprare una donna, cercando poi di lavare nel bidet i suoi vestiti sporchi di spray urticante colorato.
Quell’uomo ieri è stato condannato a 9 anni di reclusione con rito abbreviato e al risarcimento di 200 mila euro in via equitativa. Si è chiuso così, in primo grado, il processo a carico di J. S. C. S., colombiano residente a Pordenone, autore di un episodio che, per la sua brutalità, ha segnato profondamente la comunità cittadina.
La violenza, infatti, è avvenuta in una tranquilla sera di giugno, nelle vicinanze del ponte di Adamo ed Eva. Chissà quante ragazze, di giorno e di notte, ci sono passate. Chissà quante volte la stessa vittima, che pure era abituata a girare con lo spray urticante, lo aveva fatto. Quella sera, però, è stata messa di fronte a una prova difficilissima per la dignità di ogni donna.
S. l’ha aspettata nel cuore della notte, l’ha pedinata lungo le vie del centro e, all’altezza del ponte sul Noncello, l’ha afferrata per i capelli, colpendola con schiaffi e pugni. L’ha portata in una zona appartata e buia, sull’argine, gettandola a terra e mettendole le mani alla gola per impedirle di urlare. Ne ha violato corpo e anima. Infine, mentre lei si rivestiva il più velocemente possibile, temendo nuova crudeltà, l’ha rapinata dei 15 euro che aveva nel portafoglio.
Sono i carabinieri, nelle ore e nei giorni che seguono la violenza, a dare un nome a quel volto immortalato dalle telecamere di sorveglianza. Subito dopo la violenza la giovane è stata accolta all’hotel Santin, dove è stata soccorsa dai militari dell’Arma e portata in pronto soccorso. Il pubblico ministero Federica Urban, che ha coordinato le indagini, ha sfruttato la tecnologia per chiudere il cerchio intorno a S.: dalle telecamere di sorveglianza del Comune, le cui immagini sono state visionate nel dettaglio dai carabinieri, che immortalano S. e la giovane vittima all’1.47 sul ponte di Adamo ed Eva, all’analisi del cellulare sino agli accertamenti biomolecolari del Reparto investigazioni scientifiche di Parma. Un’altra donna, la madre di S., ha avuto un ruolo cruciale in questa vicenda, notando in bagno i vestiti sporchi di rosso, il colore dello spray urticante di cui anche la giovane, sconvolta, era macchiata quando si è presentata all’hotel Santin. Sei mesi, quelli trascorsi tra la violenza e la condanna, che l’imputato ha trascorso in carcere, spostato a Gorizia tra i “protetti” pochi giorni dopo il fermo del 17 giugno. Era lì quando ha compiuto 30 anni, era lì quando, a settembre, è stato nuovamente interrogato, era lì mentre i suoi avvocati, Alessandro Magaraci e Laura Diana, cercavano di sbloccare la sua carta ricaricabile per iniziare a risarcire la vittima, costituitasi parte civile con l’avvocato Fabio Gasparini e alla quale, per ora, sono arrivati 1. 500 euro. Altri 8 mila sono contenuti nella carta della quale è stata chiesta l’estinzione ma, secondo il giudice per l’udienza preliminare Milena Granata, il risarcimento che spetta alla vittima è di 200 mila euro. Nove, invece, sono gli anni cui S. è stato condannato per aver gettato in un abisso una giovane che, una sera di giugno, stava solo rientrando a casa.
Minuti interminabili, quelli trascorsi ieri in tribunale a Pordenone in attesa della sentenza.
«Credo che il Tribunale di Pordenone abbia ben colto la gravità della condotta dell’imputato – sottolinea l’avvocato Fabio Gasparini – che è stata molto violenta e molto brutale. La ragazza sta ancora subendo le conseguenze di quanto accaduto e non sarà facile per lei superare questo momento. Il fatto che gli investigatori abbiano in poco tempo individuato l’autore del reato e che il Tribunale di Pordenone, sempre in tempi molto rapidi, sia giunto a queste conclusioni può rappresentare un minimo di sollievo».
Dal Messaggero Veneto del 23.01.2025